I saggi dell’antico Egitto riconoscevano nel cuore il punto di fusione tra mente e corpo. Oggi sia in Oriente che in Occidente il cuore è associato al Sole per il comune rimando alla luce, alla creatività, all’amore, alla totalità, all’eternità e… alla vita!
Che la si voglia interpretare alla maniera degli antichi egizi o dell’Oriente e dell’Occidente, ciò che è comune a tutti è che il cuore è l’organo vitale per eccellenza. Proprio per questo il significato simbolico della sua malattia è molto evidente: il cuore rinuncia a vivere il proprio mondo pulsionale e si arresta. Arresta la vita. Ecco perché le somatizzazioni legate al cuore sono tra le più gravi e meno sottovalutabili in assoluto.
Una serie di ricerche condotte in diversi paesi hanno individuato tue tipologie di cardiopatici: i competitivi e i cooperanti. Nel 1959 il contributo dato da uno studio di Friedman e Rosenman ha mostrato un dato rilevante. Si è notato come i competitivi siano colpiti da infarto quattro volte di più rispetto ai cooperanti. Un risultato che sorprende soltanto in parte. Infatti, i competitivi tendono a essere dinamici, mai fermi, con smanie di successo, incapaci di rilassarsi e con dei forti meccanismi di difesa volti a negare la malattia.
Ma cosa si nasconde dietro la somatizzazione del cuore?
A fare da comune denominatore a ogni tipo di somatizzazione cardiaca è sempre la fatica a gestire gli stati emotivi e soprattutto a dar loro la possibilità di esprimersi. Un tratto caratteristico di chi tende a somatizzare con il cuore, infatti, è proprio l’ipercontrollo dei sentimenti e soprattutto di stati emotivi quali la collera. L’iperteso è un caso esemplare in questo senso. Chi soffre di ipertensione tende a reprimere molto ma ha anche tanto in termini di spinta energetica, forse troppa rispetto a quella che è disposto a investire nella propria vita. Da qui il malessere che innesca l’aumento della pressione sanguigna.
In generale, che sia in positivo o in negativo, le emozioni troppo forti tendono a essere molto dannose per l’uomo. Anche l’eccesso di piacere e le passioni smodate possono indebolire il cuore e generare tensioni cardiache molto pericolose. Basta pensare a tutte le volte che abbiamo provato eccessiva paura, rabbia, senso di colpa ma anche gioia. Più l’emozione si fa intensa e più l’energia si blocca, il cuore pompa forte e la respirazione diventa così intensa che in alcuni casi si può perdere conoscenza. Quando questo accade significa che il cervello è stato privato della sua energia vitale.
Come tengo il mio cuore in salute?
Il primo modo per prenderci cura del nostro cuore è fare ciò che faremmo con una persona che amiamo: ascoltarla. Dare importanza a ogni singolo segnale cardiaco ma anche psicosomatico che ci manda e cercare il più possibile di abbandonare schemi rigidi. Il cuore, al di là della sua conformazione fisica, è passione e la passione per sua natura è libera. In questo certamente può aiutare un lavoro su se stessi, guidato da una terapia mirata sulla causa del disturbo psicosomatico, per ridare al cuore la leggerezza di cui ha bisogno. Come insegna Italo Calvino:
“Prendete la vita con leggerezza. Che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”
Un altro aiuto molto importante che possiamo dare al nostro cuore è ristabilire una priorità intorno alla quale fare ruotare tutto il resto. Una grande qualità delle malattie psicosomatiche, infatti, è che sebbene non possano essere curate, possono però essere tenute sotto controllo, per mezzo dell’amore più alto di tutti: quello verso noi stessi.